Gisella by Carlo Cassola

Gisella by Carlo Cassola

autore:Carlo Cassola
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
editore: Rizzoli
pubblicato: 1974-03-31T22:00:00+00:00


II

Gisella era contenta di avere in casa la suocera. Diceva che era una compagnia e che le avrebbe fatto comodo quando fosse nato il bambino. La zia non gliela passava: «Senti, io credo di conoscerti bene: il bambino non vorrai che te lo tocchi nessuno».

La suocera aveva il comando della casa. E il maneggio dei soldi: il figlio le consegnava l’intero stipendio, com’era abituato da scapolo.

Gisella non se ne risentiva. Non che sperasse di guadagnarsi l’animo della vecchia con una condotta sottomessa.

Gisella la durezza della vita l’aveva conosciuta fin da bambina. Nella famiglia degli zii, aveva imparato a barcamenarsi. Sapeva che la vita è tutta una guerra. E che non bisogna avere scrupoli.

Gli uomini magari sono pronti ad accomodarsi. Loro la guerra la fanno con le mitragliatrici e i cannoni. Ma almeno in famiglia vorrebbero stare in pace.

Le donne sono implacabili. Le guerre se le fanno tra loro.

Gira e rigira, si tratta sempre di spodestare un’altra: nel comando della casa, nell’affetto di una persona.

Lei, da piccola, aveva lottato contro le donne che il padre si portava in casa. Non figuravano come amanti, avevano la qualifica di guardarobiera o di segretaria.

Il padre avrebbe preteso che ci andasse d’accordo. Anche la donna, sulle prime, si mostrava gentile. Lei la aggrediva: «Che ci fai qui? Vuoi prendere il posto della mia mamma?».

O la canzonava: «Stupida, credi che mio padre ti sposi? Lui ha in mente un matrimonio con una donna ricca, che gli paghi i debiti». Quella si risentiva col padre, e il padre la picchiava. Le diceva: «Di che t’immischi te? mocciosa». E giù schiaffi. Lei si faceva un punto d’onore di non piangere.

Il periodo più brutto, fu quando ci dovette dormire insieme, con una di quelle. Con la finta guardarobiera. Aveva finte anche le ciglia: se le levava prima di andare a letto.

Una notte si svegliò sentendo piangere. La luce era accesa, e poté vedere la donna seduta sul letto, col trucco che le colava giù per le guance.

La guardarobiera si sarebbe anche confidata con Gisella. Le diceva: «Tu sei una povera bambina, e io sono una povera donna. Dobbiamo andare d’accordo. Devi volermi bene. Io te ne voglio». «Io no» rispondeva implacabile Gisella. «Perché? Cosa ti ho fatto?» «Mi hai portato via il babbo.»

La guardarobiera fu cacciata. Comparve la segretaria. Da principio veniva di giorno, poi ci rimase anche a dormire. Gisella non ebbe la soddisfazione di vederla cacciare, perché fu messa in collegio.

Le sue compagne non sapevano nulla di debiti e di cambiali; tanto meno di amanti e di donnacce. Lei se ne stava per conto suo. Si fece il nome di superba.

Il padre venne a trovarla sì e no quattro volte. Una volta arrivò accompagnato da una delle sue donne, una nuova: brutta e vecchia, tanto che Gisella non ne fu gelosa. Pensò che si trattasse della signorona che avrebbe rimesso in sesto le finanze paterne. Purtroppo di lì a poco il padre non poté più far fronte ai creditori e si tolse la vita.

Da una parte era stata contenta di andare in collegio.



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